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DATI TERRITORIALI
In un incantevole spicchio di Lucania, la natura colora di mille sfumature un bacino circondato da creste intagliate e costoni selvosi che sfumano a picco nell’azzurro intenso del mar tirreno. In una nicchia spettacolare dell’appennino che fa da cerniera fra tre parchi nazionali, Pollino, Appennino lucano e Cilento, nasce lo splendido scenario della Valle del Noce in cui si adagiano cinque paesi: Lauria, Lagonegro, Trécchina, Rivello e Némoli. Al di fuori della valle, in una singolare posizione geografica, si incunea l’incantevole paesaggio di Maratea, unico sbocco lucano sul tirreno che, rappresenta la perla del tirreno e la maggiore attrattiva del luogo.
Questi comuni formano il Lagonegrese, la propaggine dell’area sud-occidentale lucana, definita tra i paesaggi più suggestivi della regione Basilicata. Uno scrigno di natura e piccoli centri che si possono ammirare dalla “terrazza sul Noce”, uno sperone di roccia che sorge sul giogo tra il colle Armo e serra Pastorella.
Nasce qui il centro storico e antico di Lauria, il comune più vasto e popoloso della zona. Splendido borgo lucano caratterizzato nel corso della storia da numerose vicende, presenta segni tipici dell’epoca medievale. Le abitazioni si inerpicano sulla collina disegnando angoli caratteristici ed intricate viuzze in uno scorcio verdeggiante a 430 metri s.l.m. dell’epoca medievale.
Abitanti: 12.126
Superficiein Kmq:176,63
Superficie in Ha: 17.663
Densità per Kmq: 68,65
Numero Famiglie: 4.975
Area sottoposta a vincoli
Idrogeologici Ha: 15.953
Boschi Ha: 3.956,70
AMBIENTE
In una nicchia spettacolare dell’appennino in cui la macchia mediterranea avvolge i pendii montuosi, sgorgano innumerevoli corsi d’acqua che disegnano meravigliose colline tra boschi e anse ghiaiose.
La valle del Noce è caratterizzata dalla ricca presenza di acqua e di rocce calcaree che ne rappresentano delle grosse riserve, da cui sorgenti e torrenti nascono in ogni dove.
In questa terra rigogliosa, il fiume Noce che nasce dalle vette imponenti del monte Sirino, solca un meraviglioso paesaggio verdeggiante sorvegliato dalle precipiti propaggini dei rilievi circostanti. Il comune che domina la suddetta valle è Lauria, vasto e popoloso, con 12.126 abitanti e 175,16 kmq di suolo comunale. Si estende su un territorio per la maggior parte collinare e montuoso, compreso in un dislivello che va dai 2005 m. del Monte Papa fino ai circa 200 m del letto del fiume Noce. Il territorio comunale rappresenta un punto d’incontro di ben quattro bacini idrografici: Val d’Agri, Val Sinni, Valle del Noce e Valle del Mércure.
Il perimetro amministrativo ne ricopre ben due, il Noce e il Sinni, iquali costituiscono i principali corsi d’acqua della Lucania meridionale.
Il comune di Lauria rientra nel Parco Nazionale del Pollino con l’area del Monte La Spina e nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano con l’area del Monte Sirino.
Queste due aree di importanza inestimabile sono connesse da un tutt’uno naturalistico rappresentato da Bosco Canicella, Lago di Cogliandrino e Lago della Rotonda. Un’area ambientale unica ed incantevole ad alto interesse conservazionistico e raro esempio di sostenibilità ambientale in linea con i princìpi dettati dagli accordi internazionali.
Il territorio lauriota comprende una zona ad alto pregio naturalistico con ben 5 Siti d’importanza comunitaria.
La regione Basilicata ha designato 20 Zone Speciali di Conservazione degli habitat naturali rientrando tra le sole 3 regioni che vogliono ottenere un passaggio fondamentale per gestire la rete natura2000 secondo gli obiettivi europei
STORIA
Questo lembo di terra, situato nel cuore dell’Italia meridionale, sin dall’Antichità era conosciuta come Enotria e la sua prosperità di acqua, legname e materie prime. Era rinomata, tanto da aver fornito con molti doni di natura le popolazioni, provenienti da varie nazioni, che ambirono e
occuparono questa terra. La popolazione degli Enotri abitò l’Italia meridionale dal golfo di Taranto a quello di Policastro, spingendosi fino all’estremo sud della Calabria. Non si può escludere dalla genealogia di Lauria la radice enotrica con i ritrovamenti avvenuti recentemente in località Malfitano. Gli Enotri si attestano nell’ area sin dal XII sec. a.C., ma con il sopraggiungere dei greci, VIII sec. a. C., si spostano progressivamente dalle coste all’entroterra, lasciando le litorali ioniche libere per lo sviluppo degli insediamenti ellenici. Un secolo dopo cominciano le guerre tra la popolazione indigena e le città-stato greche, ma le sventure dei popoli autoctoni aumentano con le progressive invasioni delle popolazioni di idioma Osco da nord-ovest: I Lucani, nel V sec. a.C. entrano così in pieno nella storia della Magna Grecia, condizionandola per quasi mezzo secolo, estirpando le popolazioni indigene.
Ma i primi insediamenti abitativi veri e propri, bisogna datarli intorno alla metà del 500 a.C., e sono di matrice greca. Infatti è sulle sponde del fiume Sinni e ai piedi del massiccio del Sirino che sono documentati i primi antenati. Oggi si indica quella zona come Seluci, ma in antichità, era conosciuta con un altro nome: “Sirin o Sirynos”. Per quanto detto è a Seluci che si sviluppa un primo nucleo e gli antichissimi manufatti ritrovati nell’area sono la prova tangibile della presenza umana.
Vi sono delle importanti testimonianze monili dell’età arcaica relative ad un insediamento che poneva su delle monete la leggenda “SYRlNOS I PIXOUS”, datate al 550 a.C.
Nel IV secolo a.C. i Lucani assoggettano definitivamente le popolazioni indigene e si scontrano con le polis greche sulle coste orientali, verso il 360 a.C. creano una confederazione, la Lega Lucana, composta da dodici città-stato, e si suppone che le città coincidessero con quelle raccontate da Tito Livio: Bussento, Blanda, Atina, Banzia, Eburo, Grumento, Potenzia, Sonzia, Siris, Teggiano, Ursento, Volceio.
Nel III sec. a.C. l’esercito romano sottomette l’ostile popolo lucano. Sul finire del II secolo a. C. la Basilicata era completamente tagliata fuori non solo dai contatti con le genti vicine ma anche dai contatti con i romani e i grandi abitati indigeni sono completamente abbandonati. Sorte diversa non spettò al territorio di Lauria, o al Lagonegrese in generale. La costruzione di una direttrice che collegasse Capuam e Regium, oltre che la successiva realizzazione della via Herculia, vede il diretto interessamento del periodo romano dell’area nocina, anche se nessuna vera e propria colonia militare sorse in questi territori. Secondo Tito Livio fu Tiberio Sempronio Gracco a distruggere la città di Sirin durante la Seconda Guerra Punica nel 213 a.C. Si può immaginare che al passaggio delle truppe romane, i nostri antenati abbandonarono il primitivo insediamento di Sirin per rifugiarsi presso le più nascoste rocce dell’Armo. Tra le grotte di quei siti, oggi identificati come Cafaro, si sviluppa il primo nucleo abitativo dell’odierna cittadina di Lauria.
L’epoca della venuta dei barbari per la bassa Italia si può circoscrivere all’arrivo dei Longobardi;
Il territorio di Lauria era compreso nel Ducato di Benevento, nella cosiddetta Longobardia Minor, che successivamente alla divisione del ducato, tra 844 e 851, rientrò sotto il dominio del principe longobardo Siconolfo nel Principato di Salerno.
Dopo la venuta dei popoli pannonici fu la volta dei Saraceni arrivati dalle coste tirreniche. Importanti testimonianze sono ancora visibili di tale dominio, ad esempio il termine Ravita è una storpiatura dell’arabo “Rabit”, abitazione, a conferma di ciò era l’ormai distrutto quartiere della Ravita, oppure Cafaro variante medievale dell’arabo di “Kafar” che può significare sia zona fortificata che castello.
A cacciare i Mori dalla nostra città fu l’imperatore bizantino Michele III che libera definitivamente Lauria dall’influenza saracena. A dimostrazione della devozione degli Uriensi, laurioti, all’impero e per la tenacia da loro dimostrata, il “Basileus” concede dunque un’importantissima arma iconografica da sventolare e mostrare con fierezza nello stemma cittadino: il “Basiliskos”: un albero di lauro, a ricordare i ricchi boschi di alloro, un basilisco a rimarcare la discendenza reale
della cittadina e la scritta “Noli Me Tangere”, non mi toccare, come monito a chi si avvicina alla nostra comunità.
Con la formazione del Tema di Lucania nel 968, si rafforza l’amministrazione bizantina nell’area, parallelamente un altro fenomeno, quello del monachesimo, si dirama in questa terra diffondendo di pari passo sia la fede cristiana, sia la cultura greca.
Dal XI al XIII secolo, la valle del Noce e soprattutto la vicina valle del Mercure, saranno protagoniste di una importantissima fioritura culturale dettata dalle sempre più numerose presenze di monaci greco-bizantini, tanto da poter definire quest’area come la Valle dei Monasteri o come Nuova Tebaide.
Dove oggi è di fatto il Santuario della Madonna dell’Armo a quel tempo vi era una laura greca, simile a quella ancora presente in contrada Sant’Elia, così come nel rione inferiore, nell’odierna contrada di San Filippo vi era un importantissimo cenobio basiliano, oltre alle grotte sotto il costone dell’Armo. L’economia dell’area visse un rinvigorimento dell’attività agricola e artigianale, i nuovi colonizzatori portarono oltre al loro bagaglio culturale e spirituale, un imponente impulso di specificità artigianali nella valle.
La situazione politica venne nuovamente sconvolta a metà del XII secolo, quando penetrò un altro popolo: i Normanni. Con il loro arrivo, nel XII secolo Lauria diviene il centro economico-politico più importante di tutta la val nocina. La successiva elezione a imperatore di Federico II dona il massimo prestigio e splendore che questa terra abbia mai conosciuto: la Basilicata, con Melfi capitale, era il centro del regno di Federico.
Il capostipite della famiglia Lauria o Loria/LLuria, è stato identificato in Ugone Il Normanno, vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo, gli succedette il figlio Ruggerone ricordato come valoroso cavaliere in cronache che vanno dal 1127 al 1140. Con Gibel la cittadina ha il suo primo feudatario riconosciuto come Signore di Lauria, il primo a portare il cognome della terra conquistata, secondo uso e costume normanno, infatti quando Lauria venne infeudata nella seconda metà del XIII secolo. É solo con Riccardo il Gran Giustiziere (ca. 1220-1266), però, che la Contea di Lauria raggiunse il massimo prestigio nell’età medievale. Il feudo all’epoca comprendeva molte terre e castelli tra Basilicata e Calabria e il castello di Lauria, tra le ventiquattro fortificazioni appartenenti alla famiglia, era una delle più importanti e amate dal feudatario. Riccardo fu uomo chiave della politica di Federico II, Gran Giustiziere di Basilicata e delle Terre di Bari. Nel 2000 la Soprintendenza della Basilicata ha scoperto uno scheletro decollato sepolto nei pressi del castello, secondo alcune ipotesi si tratterebbe proprio dei resti di Riccardo.
Il Gran Giustiziere sposò in prime nozze Paliana di Castrocucco e in seconde nozze Donna Bella Lancia dei Conti di Asti, da quest’unione nacque uno dei personaggi chiave della storia europea del XIII secolo: l’Ammiraglio Ruggero di Lauria. Roger de Lluria o Ruggero di Lauria nasce nel castello di Lauria nel 1245 e vi resta fino all’età di tredici anni, quando la madre Donna Bella Lancia nel 1268 viene chiamata alla corte catalana in qualità di nutrice di Costanza di Svevia, futura moglie di Pietro III il Grande. Le cronache del tempo parlano di un ragazzo prodigioso e valoroso, tanto che re Pietro già nel 1283 affida il comando al giovane Ruggero, già noto a corte per valore e abilità marinaresca, elevandolo ad Ammiraglio della flotta d’Aragona. La prima vittoria navale, che assicura il dominio navale aragonese sull’armata angioina, fu guidata da Ruggero nelle acque di Malta solo pochi mesi dopo la sua nomina adoperando al meglio milizie d’assalto catalane: almogàveri.
Nel feudo di Lauria alla morte di Ruggero il titolo della Baronia viene ereditato dal figlio Ruggerone, successivamente è attestato come Barone nel 1308 Carlo di Lauria e dopo Ruggero Berengario, la città aumentava ancora il suo prestigio. Commercio e artigianato erano fiorenti e rinomati: Lauria si affermava come città traino della valle. La popolazione contava circa 2000 abitanti.
La famiglia dei Sanseverino fu una delle famiglie più importanti della storia del meridione d’Italia, originaria della Normandia, si stabilì a Napoli a metà del XI secolo. Dal 1386 Lauria è uno dei feudi dei Sanseverino. Il territorio cittadino dal XII al XVI secolo era praticamente raddoppiato tanto da diventare suffeudo. La fase di grande sviluppo della Contea di Lauria subisce una brusca interruzione nel 1487. Barnabò San Severino, al contrario di Stefano, fu uno degli organizzatori della Congiura dei Baroni contro re Ferdinando. Dopo la rivolta il re fece catturare ed uccidere tutti coloro che avevano preso parte alla congiura: la contea di Lauria venne definitivamente confiscata ai Sanseverino.
Dopo i Lluria (1254-1310) e i Sanseverino (1386-1516), il feudo di Lauria appartiene ad una nuova casata: gli spagnoli Exarques. Unico documento storico del tempo è la visita del pastorale effettuata in Lauria dal vescovo di Policastro Monsignor Spinelli, che si recò dai malati dell’antico Spitale di Santa Maria dei martiri.
Nel XVII secolo un personaggio storico fu uno dei protagonisti della Roma del Seicento e nacque proprio a Lauria: era il 10 Aprile del 1612, quando nel rione inferiore, viene al mondo da una nobile famiglia il Cardinale Lorenzo Maria Brancati.
A Lauria il Cardinale rimase sempre profondamente legato e la cittadina grazie alla sua influenza godette di molti privilegi. Il convento dei Padri Cappuccini vede il suo definitivo ampliamento dopo uno stallo dei lavori iniziati nel 1619, e si ultimano anche i lavori del palazzo vescovile. Nel 1638, nella Chiesa di San Nicola di Bari, si svolse il VI Sinodo Diocesano voluto dal Vescovo di Policastro, Mons. Pietro Magri. Dal congresso la città di Lauria usciva con un ruolo importante: nel rione è istituita la terza sede vescovile che impone il Vescovo di trascorrere sei mesi all’anno nel nella città di Lauria. Negli stessi anni la famiglia del Barone Francesco Exarques per intercessione del Brancati dona al potente abate di San Filippo molti beni e pertinenza tra cui fondi siti in Castelluccio, Rivello e Tortora. Nel 1693 il Marchese Girolamo Calà di Tappa, acquistando il titolo di quello che fu un nobilissimo feudo appartenuto ai Llùria, ai Sanseverino e agli Exarques, diventa il Duca della città di Lauria. Carlo III dà ordini al suo Segretario di Stato di volere una relazione sull’area, Bernardo Tanucci pertanto incarica del compito l’avvocato Rodrigo Maria Gaudioso.
Il documento resta unicum storico importantissimo, che permette la ricostruzione della situazione reale che viveva il Ducato a metà del Settecento: «[…] I numeri di abitanti […]ascende nel complesso di seimila anime circa; per il campo spirituale è amministrata dal Vescovo di Policastro, la cui Mensa […] riscuote una rendita effettiva da devoti di tremila ducali circa, oltre quello che rende la Curia. Vi sono due parrocchie distinte, l’una sotto il titolo del glorioso San Nicola di Bari, che è situata sopra il Castello suddetto, l’altra è nel Borgo, sotto il titolo dei gloriosi santi Giacomo e Matteo[…]. Vi è l’Abbazia regia sotto il titolo di San Filippo Abate, che ha di rendita annua ducati duecento circa, […] vi sono due conventi, uno di Padri Minori Osservanti di San Francesco d’Assisi, luogo di noviziato, con trenta Frati di famiglia, l’altro di Padri Cappuccini, con quindici Frati di famiglia; vivono entrambi detti conventi di elemosina secondo il loro statuto. […] Vi sono pochi dottori che vivono con le rendite dei loro stabili ed industrie. Non esiste il Tribunale di giustizia; ma questa si amministra da un governatore, il quale, insieme col giudice di appello, decide in seconda udienza. Il Duca riscuote annualmente ducati settantadue. Il terreno è per lo più passivo, in quanto non produce grano sufficiente per il vitto degli abitanti, che sono costretti a comprarlo altrove; gli alberi, per la maggior parte, sono infruttiferi.[…] Tendenze della popolazione sono: l’arte meccanica, le fabbriche, la coltivazione di vigneti e dei cereali, la maggior parte dei lavoratori, non avendo a disposizione terreni propri, se ne va a lavorare fuori alla giornata […]. Lauria 3 Giugno 1735».
La Duchessa D’Utinghen, dal 1740, moglie del Duca Francesco fece realizzare molti lavori per la cittadina: selciare e allargare le strade dell’abitato, fondare e rinnovare le campane delle due chiese parrocchiali, restaurare molti quadri e cappelle. Della fine del Settecento rimangono alcuni dati relativi al commercio e all’artigianato, è celebre la lavorazione del ferro, arte che aveva contribuito a far conoscere la città in tutto il regno: i fabbri laurioti erano specializzati nel costruire fucili ed archibugi. Nel difficile contesto storico sopra accennato e sotto il Duca Francesco Calà-Ulloa, il 20 Novembre 1770 nasce nel rione superiore di Lauria Domenico Lentini.
Il Beato Domenico Lentini nacque nel 1770 a Lauria il dì 20 Novembre, da una famiglia appartenente al popolo, molto povera.
Il suo cammino di fede iniziò molto presto, invero all’età di soli 15 anni vestì l’abito talare, il 27 Ottobre del 1793 fu ordinato diacono e l’8 Giugno dello stesso anno fu consacrato sacerdote.
Fu soprattutto il paese di Lauria a beneficiare della sua santissima presenza Egli, prendendo in prestito le parole di Papa Giovanni Paolo II,
<< […] un Sacerdote dal cuore indiviso che seppe coniugare la fedeltà a Dio con la fedeltà all’uomo.>>- Alla morte del Duca Francesco nel 1779 eredita il titolo nobiliare il nipote Pietro Calà-Ulloa, ultimo duca di Lauria prima della soppressione del ducato nel 1806. Lauria visse drammaticamente gli eventi della Repubblica Partenopea del 1799: nella città fu piantato l’Albero della Libertà, il simbolo della rivoluzione francese, ma la repressione che seguì successivamente alla caduta della Repubblica fu durissima anche nelle periferie del regno. In quegli anni, nel 1761, nasce a Lauria Nicola Carlomagno. Dallo stato delle anime, censimento, redatto dal curato del tempo, si apprende che a Nicola viene dato il titolo di magnifico: appartenente alla borghesia benestante. Ventenne conseguì la laurea in Legge a Napoli, e lì rimane affermandosi ben presto come avvocato. Liberale convinto, partecipò alla nascita ed alla costituzione della Repubblica Partenopea nel 1799.
Si è consumata a Lauria una delle tragedie più grandi di questa campagna bellica, il generale Massena, il 6 agosto 1806, giunto in prossimità del centro abitato e verificate le intenzioni dei laurioti di intralciare l’avanzata dell’esercito francese, decise di invadere la città. Lauria fu saccheggiata e sottoposta ad un massacro: vennero uccisi vecchi, le donne, i bambini, i malati, furono messe a fuoco le case e le chiese. Fu distrutto il grande archivio comunale, incendiato il monastero dei minori osservanti e la sua antichissima biblioteca, neanche l’ospedale di Santa Maria fu risparmiato all’ira francese. Questo tragico episodio è ricordato dalla storia come il Sacco di Lauria. La vendetta dei francesi, contro i laurioti fedeli alla causa borbonica, fu implacabile e si
consumò anche negli anni successivi, tutti i servizi che la città per secoli aveva ospitato (il Giudicato, lo Spitale, il Vescovato, gli Uffici Doganali, il Distretto, la Circoscrizione, i nuovi ispettorati) furono spostati in altri centri della Valle del Noce.
Nel Gennaio del 1861 alle prime elezioni parlamentari italiane, viene eletto come deputato il lauriota Francesco Maria Gallo. A conclusione del secolo, si ricorda il beneficio riconosciuto alla chiesa di San Giacomo in Lauria, che gode del privilegio dell’indulgenza plenaria, per i pellegrini che la visitano negli anni Jacobei, al pari della Cattedrale di Santiago de Compostela. La concessione di Papa Pio IX è ricordata da una lapide marmorea posta nell’ingresso della chiesa parrocchiale, era il 4 Maggio 1876. Con l’arrivo del Novecento a Lauria fu creata la prima centrale idroelettrica lucana, un nuovo impulso ebbero tutte le attività produttive e le imprese cittadine, ma purtroppo la situazione non era delle migliori. La vita sociale e cittadina era ancora dettata dalla sfera religiosa e soprattutto dal mondo contadino: dalla vendemmia all’uccisione del maiale, dalla semina alla raccolta delle olive, tutto era programmato in funzione dei lavori campestri. Nel 1906 una gigantesca frana mette a rischio nuovamente la sopravvivenza della cittadina, e la questione fu posta a tutti i livelli anche del Governo nazionale, Lauria è infatti conosciuta anche come il paese che cammina. nel 1908 vide la pubblicazione de La vedetta Lucana e infine nel 1911 La Sfera: tutte queste pubblicazioni sono sintomatiche della ripresa finanziaria e culturale della città, ma subito dopo con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale molti giovani laurioti furono chiamati alle armi e parecchi non tornarono più a casa: i morti in guerra furono oltre cento e una lapide li ricorda nell’atrio del Palazzo Comunale. La cittadina solo all’inizio del secolo vede mutare il suo antico impianto urbanistico medievale e, oltre ai quartieri storici (Cafaro, Ravita, San Giovanni e Muraccione), si sviluppa definitivamente il rione inferiore e i palazzi posti lungo corso Cairoli. Nel 1919 è terminata la costruzione, avviata qualche decennio prima, di Palazzo San Giovanni, ossia il Palazzo Comunale, posto a metà tra i due rioni. In prossimità del passaggio dal XIX e XX secolo, viene progettata la costruzione della Ferrovia Calabro-Lucana. Con la Seconda Guerra Mondiale, oltre ai centoventicinque cittadini chiamati alle armi e morti nel conflitto, si ricorda tragicamente il bombardamento del 7 settembre 1943, in cui gli inglesi tentarono di distruggere il comando tedesco sito nel centro della città, che causò la morte di trentasette civili.
Nell’immediato dopo guerra un altro importante flusso migratorio di laurioti si registra, ma questa volta le destinazioni sono il nord della penisola o le capitali centro-europee. Il resto è storia di questi giorni: Lauria è cresciuta demograficamente, culturalmente e socialmente, la proverbiale laboriosità è rimasta tale e ovunque le maestranze sono apprezzate e rinomate. La cittadina ha espresso da sempre importanti personalità nel mondo del cinema e del teatro, personalità politiche sia a livello nazionale che a livello europeo, resta allo stesso tempo caposaldo economico dell’area con centinaia di aziende commerciali di vario genere.
PATRIMONIO ARTISTICO ED ARCHITETTONICO
Non si hanno notizie precise circa la fondazione della Chiesa Madre San Nicola di Bari, poiché molta documentazione è andata distrutta nell’incendio del 1806 ad opera delle truppe napoleoniche. Ai fini della ricostruzione della storia della Chiesa, si può certamente dire che la sua struttura, nel secolo scorso, era sostanzialmente diversa: l’edificio, a croce latina, si estendeva con il tratto più lungo della sua unica navata su tutta l’area dell’attuale piazza Carlo Viceconti. Questa parte della Chiesa fu completamente distrutta; in fase di ricostruzione si è scelto di renderla più corta allungando, invece, l’asse verso piazza San Nicola, rimaneggiando la facciata ed aprendo su questa l’ingresso principale. È ipotizzabile che il transetto sia rimasto intatto nelle strutture murarie come pure il campanile cui fu soltanto aggiunta la parte superiore. E’ in questa fase che vennero aggiunte altre navate, inoltre molti pezzi della balaustra sono stati eliminati, e la zona dell’abside è risultata di conseguenza più stretta. Attualmente, la Chiesa ha una pianta longitudinale a croce latina, sulla facciata principale vi sono tre portali in pietra calcarea datati 1894.
Lo stile dell’edificio di culto può a ragione definirsi eclettico, visti i vari rifacimenti che si sono susseguiti nel corso dei secoli, anche se l’impronta stilistica più rilevante è quella barocca.
La torre campanaria si presenta imponente ed alquanto sproporzionata rispetto all’edificio. Essa è composta da due elementi: il primo, più antico, costituito da quattro parti con le rispettive monofore, delle quali una soltanto ancora aperta; il secondo costituito dalla cella campanaria e dalla cuspide. Dallo studio di alcuni elementi quali i caratteri della facciata, i ritrovamenti di una monofora sull’ingresso della sacrestia, degli elementi della torre campanaria, si può ipotizzare che la Chiesa risalga intorno alla fine del 1200 e gli inizi del 1300.
L’interno della Chiesa è a tre navate delimitate da piloni in fasce con archi a tutto sesto; vi è un ampio transetto ed una profonda abside rettangolare.
La volta della navata centrale è dipinta a tempera con immagini raffiguranti San Nicola, l’Ultima Cena, la Madonna con il Bambino e Sant’Anna, opera di Pasquale Iannotta, pittore locale, maestro di Mariano Lanziani; anche quest’ultimo ha avuto una parte rilevante nella decorazione della Chiesa: sua è, infatti, la tempera che decora la volta del coro e raffigura il Trionfo del Sacramento e sue sono anche alcune pale d’altare: Cristo in croce con le pie donne, La presentazione di Maria Vergine al tempio e Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.
Tra gli artisti che hanno operato nella decorazione della Chiesa matrice abbiamo anche Emilio Larocca, autore della tela d’altare del Beato Lentini, San Pio da Pietralcina, Santa Chiara, la Beata Maria De Mattia e San Nicola e i tre fanciulli, quest’ultima eseguita a devozione del Sacerdote Don Antonio Spagnuolo.
Sempre nella navata centrale è presente un’elegante balaustra del
1616 che cinge l’altare maggiore, forse opera della scuola di
Fanzago, artista occupato anche nei lavori alla Certosa di Padula.
La balaustra probabilmente è proveniente dall’antica abbazia di
San Filippo, è caratterizzata da tarsie e intagli a carattere
fitomorfo e zoomorfo. Spicca per pregio l’icona realizzata ad olio
situata al di sopra del terzo altare nella navata destra, che ha come
soggetto iconografico la Madonna degli Angeli tra San Francesco
d’Assisi e Sant’Antonio da Padova opera attribuita al pittore di
origine montemurrese Carlo Sellitto e datata fra il 1608-12.
L’artista è inserito tra i cosiddetti Caravaggeschi di prima
generazione, famoso dunque per aver contribuito alla diffusione
dello stile del più famoso Caravaggio nell’Italia meridionale.
Nella Chiesa, precisamente nella cappella alla destra dell’altare
maggiore abbiamo, custodite in un’urna, le sacre spoglie del Beato
Domenico Lentini. L’urna, protetta da una vetrata è posta al di
sotto della tela con rappresentato il Beato.
Anche per la Chiesa Madre San Giacomo Apostolo (Piazza San Giacomo), mancano notizie e documenti sulla fondazione, a causa dell’incendio del 1806. In origine, era intitolata a San Matteo, il culto di San Giacomo compare a Lauria fra il 1452 e il 1482, per opera di una contessa spagnola moglie del feudatario dell’epoca, un Sanseverino. Successivamente intorno al 1500 San Giacomo è divenuto il protettore della città.
Il 28 agosto 1998, fu istituito un gemellaggio spirituale tra la Parrocchia lauriota di “San Giacomo Maggiore” e quella spagnola di Santiago de Compostela.
La chiesa matrice, inoltre, gode del privilegio dell’indulgenza plenaria riservata alla Cattedrale di Santiago, com’è riportato sulla lapide marmorea situata all’ingresso, privilegio concesso da Papa Pio IX il 4 maggio 1876, rinnovato dalla Penitenziaria Apostolica nel 2006 ed anche per l’Anno Santo del 2010.
La Chiesa Madre San Giacomo Apostolo, a croce latina a tre navate, conserva al suo interno numerose opere d’arte, tra le quali emerge il coro ligneo intagliato, opera di maestranze meridionali. Esso è articolato in due ordini: i banchi e gli stalli separati da braccioli con figure grottesche; nella parte centrale del cartiglio sono scolpite le varie date di costruzione: la parte più antica e preziosa è del 1554, altre del 1679, e 1689. Esso è proveniente dall’Abbazia Cistercense di Santa Maria del Sagittario (XII secolo). Il coro è formato da 19 stalli lignei, in alto abbiamo una decorazione a conchiglie, nella parte mediana è formata da pannelli rettangolari con scolpite figure di Apostoli e Ss, come San Roberto Abate, il Beato Giovanni da Caramola (vissuto proprio nel Cenobio del Sagittario), ecc tutti Ss cistercensi, in fine nella parte inferiore sono incisi cartigli, teste d’angelo e varie figure. I sedili sono separati da braccioli con raffigurati la Sfinge, il grifone, il cavallo alato, l’uccello, il leone, la spirale, l’uva e la vite, tutte decorazioni originarie dall’iconografia medievale e pregne di significati simbolici.
All’interno dell’edificio di culto sono presenti dipinti di vari pittori, come L’Immacolata, La presentazione al tempio, il Cenacolo, l’Angelo con Sacra Sindone, la Madonna del Rosario, gli Evangelisti ed il Transito di San Giuseppe opera di Pasquale Iannotta, mentre è di Mariano Lanziani la decorazione sulla parete di fondo dell’altare che, illusionisticamente, ingrandisce l’ambiente.
Sull’altare sito a fianco del coro, nel transetto sinistro, è presente un’ancona raffigurante una Madonna col bambino (olio su tela sec. XIX), la Madonna con in braccio Gesù, è adorata da San Francesco e da Sant’Antonio. I volti del poverello d’Assisi e del santo di Padova sembrano legati da un sentimento comune, di superiore dignità umana, quel sentimento che in questo ambiente sacro trova la sua forma ideale e diventa dimensione spirituale.
Sul terzo altare della navata laterale destra è posta, inoltre, un’olio su tela che ha per oggetto L’Incoronazione di Maria vergine (sec. XVIII). Le figure sono collocate nello spazio del quadro in base a criteri di gerarchia dottrinale: la santissima Trinità- Iddio, Cristo e lo Spirito Santo sotto forma di colomba, che posa la corona sul capo di Maria, ai piedi della quale sono gli angeli in festa.
Da ricordare, infine, le tele che rappresentano le diverse stazioni della Via Crucis risalenti al Settecento. I dipinti risultano di ottima fattura e si caratterizzano per la pregevole impostazione delle scene: E’ come se le figure in movimento siano state improvvisamente fermate, bloccate, le linee di contorno sono marcate, i gesti volutamente esasperati.
La Chiesa presenta, sull’ingresso principale l’organo, della prima metà del novecento di gusto neorinascimentale. Lo strumento musicale è decorato a fasce intagliate che ricalcano stilemi antichi del periodo di Ferdinando II.
La sacrestia è un vero e proprio scrigno di tesori, vi è un archivio in noce che presenta un’alta qualità d’intaglio con effetti chiaroscurali, attribuibile, forse a qualche artigiano attivo in area meridionale, e databile ai primi del settecento. Inoltre, vi sono vari oggetti Sacri e i lampadari in ferro lavorato, eseguiti a fine ‘900 da artigiani di Lauria.
IL CAMPANILE RISALE AL PERIODO BAROCCO, MA NEL RIVESTIMENTO A MAIOLICHE DELLA CUSPIDE EVIDENZIA UNO STILE MORESCO.
ARTE E CULTURA
La cittadina è nota per la laboriosità degli abitanti che l’ha sempre contraddistinta. Essa si esplica nelle realizzazioni di prodotti tipici, nelle lavorazioni artigianali, nell’espressione artistica di ogni genere e nella voglia di mettersi in gioco con l’organizzazione di eventi e manifestazioni.
L’artigianato si è sviluppato fin dal XII secolo e ogni abitante si è specializzato in manifatture diversificate per esigenze sia delle corti dei baroni che delle comunità agresti. Da allora ogni settore ebbe il proprio mastro, con particolare rinomanza per la lavorazione del ferro, del legno e del cotto. Oggi queste maestranze persistono con i loro eredi che arricchiscono il territorio con rare preziosità.
A partire dalla produzione del “cotto a mano” con le argille del Sinni grazie ad un giovane che ha deciso di riprendere un’antica fornace e mantenere la tradizione familiare per la produzione di tegole ed embrici. Analogamente si è verificato per la lavorazione e la decorazione delle ceramiche e del vetro sviluppando negli anni la manualità nella realizzazione di varie forme e composizioni come frutto della propria creatività. Si assiste ad una forte presenza di falegnami che si sono adattati alla produzione industriale ma allo stesso tempo in molte mansioni si adotta la tecnica della lavorazione manuale. Alcuni artisti del legno arricchiscono la zona con una produzione di nicchia: la realizzazione delle zampogne costruite a mano, ormai in estinzione nel resto d’Italia. La tornitura manuale, l’ancia con lo spago e la sacca di pelle richiedono tempo, dedizione e passione.
Uno strumento di fattibilità più semplice è il tipico “cupi-cupi” che produce il caratteristico suono “cupo” per vibrazione della pelle in una cassa risonante di terracotta dovuto al su e giù del bastoncino legato al centro della membrana dopo essere stato imbevuto d’acqua. La ginestra é un patrimonio naturale, tipico della macchia mediterranea, che nella Valle del Noce veniva ben sfruttato in campo tessile.
Dopo lunghi processi si riusciva ad estrapolare la fibra da impiegare per la filatura fino ad ottenere dei cordoncini. Essi venivano inseriti nel telaio e si ordivano insieme al cotone in modo da produrre dei tessuti molto duri e resistenti impiegati nelle usanze locali.
Analogamente veniva effettuata la cardatura e la filatura della lana, un’usanza antica che ha avuto un notevole sviluppo nel corso del ‘900. I pastori della zona fornivano il vello come materia prima, nelle botteghe si filava e i cordoncini ottenuti venivano mandati nei diversi telai della zona.
Dopo aver effettuato le operazioni di tessitura si forniva la tela ai mulini di Gaglione dove avveniva la produzione del panno di Lauria.
Grazie alla destrezza di un ingegnere lauriota, dalla forza cinetica dell’acqua si attivavano dei meccanismi in legno che garantivano l’operazione di infeltrimento della lana. Tutt’oggi è molto diffusa la passione per l’arte tessile che si conferma con la presenza di abili tappezzieri, sarti e ricamatrici. Oggi tutte le attività artigianali perseverano basandosi sulle proprie abilità e riscoprono l’artigianato tradizionale come peculiarità del made in ltaly.
LA LEGGENDA DEL FELTRO DI SAN GIACOMO
Nella leggenda, l’invenzione del feltro viene attribuita a San Giacomo Apostolo. Il santo per proteggere i piedi dai lunghi spostamenti provò ad imbottire i sandali con i batuffoli di lana che rimanevano sui cespugli spinosi dopo i pascoli. Lo strato di lana si pressò con il peso e si bagnò con il sudore tale da formare una falda liscia e compatta.
CULTI, FESTE ED EVENTI
CULTI, FESTE ED EVENTI
Culti religiosi e feste civili popolano le vie del centro storico, le tradizioni richiamano turisti e cittadini dal circondario e dall’estero, le tipiche luci ornamentali decorano e arricchiscono le piazze, musiche, canti e balli animano le botteghe e gli stand in un contesto festoso. Numerosi sono i partecipanti che si divertono con le esibizioni artistiche originali. L’ accoglienza e la simpatia offerta dalle persone del posto garantisce un’ospitalità in un clima caloroso.
EVENTI PIU’ IMPORTANTI:
Il culto e gli eventi dedicati al Lentini: La celebrazione religiosa al Santo – Il pane del Lentini.
La settimana Jacobea: La festa religiosa e civile in onore a San Giacomo – Il piccolo cammino di Santiago – Il palio del gusto – Il folk festival.
Agosto a Lauria: Settimana dell’Ammiraglio – Premio mediterraneo – Notte bianca – rappresentazioni teatrali – Sagre di prodotti tipici – i Giovedì del Castello (tutti i giovedì di Agosto)
ALTRE FESTE:
Seconda domenica di settembre: Festa di San Rocco – Piazza s. Rocco
Prima domenica di agosto Madonna del Carmine località Seluci
Terza domenica di agosto Sant’Antonio località Cogliandrino
14 Novembre: Santa veneranda – Via Cerruto I Via Teatro
3 maggio: Madonna di Crocicedda – località Serra Rotonda
CUCINA ED ENOGASTRONOMIA
ARTE CULINARIA
Nel corso del tempo la vita contadina e povera ha portato gli abitanti del posto ad avere la capacità di realizzare dei piatti dal sapore unico con pochi ingredienti ma buoni.
La carta vincente della cucina tipica lucana è la semplicità.
A partire dalla farina di grano tenero che si coltiva nei campi, la nota carusédda, da cui si realizzano la maggior parte dei prodotti:
Pane casereccio: pane che richiede una lunga lavorazione e lievitazione secondo le tradizioni familiari. Pizzatulu, focaccia bianca assoluta, oppure condita con pomodoro. Frisedda, fresella (pane biscottato) Fucazzedde, focaccine fritte.
Grispedde, crespelle di pasta fritta, Biscotti a 8: tipico biscotto di pasta non lievitata, con doppia cottura e di forma ad otto.
DOLCI
Il trio dei dolci laurioti era il decoro del banchetto nuziale come ringraziamento agli invitati. Nel corso della storia il matrimonio a Lauria è stato sempre molto sentito e festeggiato secondo la tradizione. Infatti i viscuttìni sono anche detti i biscotti della sposa perché sono il simbolo della settimana che precede il matrimonio.
Viscuttìni o biscottini: Biscotti a base di uova e farina, di forma circolare e ricoperti di glassa fresca (spumata con albume d’uovo e zucchero). Rappresentano un prodotto unico ed esclusivo di Lauria utilizzato come dolce caratteristico dei matrimoni e oggi disponibile in tutte le pasticcerie lauriote.
Ancinetti: biscotto a base di uova e farina, di forma circolare. La particolarità è la farcitura di glassa al limone dalla consistenza unica (né troppo dura, né troppo morbida).
Pizzetti: biscotti realizzati dall’impasto di farina, miele e noci. Sono molto consistenti.
Un prodotto di nicchia che merita particolare attenzione è la tipica bevanda che si può degustare nell’area del Lagonegrese, prodotta a Lauria dalla ditta Bibite gassate Sarubbi B.S.B. E’ una caratteristica gassosa aromatizzata al limone dal sapore unico molto amata dagli abitanti della zona (detta Gassosa Sarubbi)
ELEMENTI DI SOSTENIBILITA’
La nostra comunità, in una assemblea partecipata, ha declinato una risposta ad una semplice domanda: “perché LAURIA, come capofila dell’intera Valle del Noce, vorrebbe diventare “PAESE SOSTENIBILE”?
La risposta che ci siamo dati è riassunta nella seguente definizione:
“Costruire una nuova strategia urbana integrata e sostenibile che guarda alla partecipazione e al coinvolgimento diretto delle energie civiche locali a partire da una semplice buona pratica”:
• UNIRE due asset fondamentali: cultura e ambiente, promuovendo l’attivazione dei settori delle arti e della cultura per “lanciare” i temi della sostenibilità ambientale sul territorio, focalizzando l’attenzione sull’aspetto della collaborazione e della creazione di una comunità di pratica.
Ciò significa creare una nuova strategia urbana e una policy locale capace di avere un impatto positivo sul territorio. Vuol dire comprendere le dinamiche legate ai processi partecipativi rafforzando le competenze dei soggetti coinvolti, dagli amministratori locali ai cittadini tutti.
Favorire la partecipazione di tutti gli attori del mondo culturale e delle arti per rendere manifestazioni ed eventi più sostenibili, rendendoli al contempo veicolo di promozione delle tematiche ambientali e fattore di crescita per l’intera comunità locale.
Si sta lavorando ad avviare un processo partecipativo diffuso attraverso la creazione di un “Urban local group” composto dagli attori del territorio coinvolti sui temi di progetto per studiare ed attuare “azioni-pilota” da realizzare sul territorio per mettere in pratica gli elementi principali dettati dalla Carta d’identità (art. 2) dell’Associazione Nazionale “I PAESI PIU’ SOSTENIBILI D’ITALIA”
I “must-have” di una città sostenibile (inteso come paese, territorio, sistema…) dovrebbero essere, a nostro parere, mobilità a basso impatto, gestione attenta del territorio, verde pubblico, tecnologie integrate e controllo delle emissioni inquinanti.
Almeno 10 cose che non dovrebbero proprio mancare perché la vita al loro interno sia più rispettosa per l’ambiente e a misura di cittadino. Alcune sembrano scontate e banali, anche se non lo sono affatto. Altre sono già davanti ai nostri nasi, ma non le vediamo. Tutte insieme possono fare la differenza:
1. Wi-Fi dappertutto, per tutti.
Le reti wi-fi devono essere pubbliche e condivisibili. A Bologna, Milano e Roma tutto ciò è già realtà. La rete rappresenta la porta di accesso ad una serie di servizi imprescindibili, all’informazione e alla condivisione “social” tra cittadini, istituzioni e aziende. Leggere il giornale, inviare una mail, controllare gli orari dei bus, pagare una bolletta, sono piccole azioni quotidiane che possono innescare un cambiamento reale nelle abitudini delle persone e delle comunità. Senza accesso alla rete non può esserci integrazione né connettività.
2. Più verde urbano
Ridisegnare gli spazi urbani in un’ottica di maggiore fruibilità e accrescere il verde pubblico: per riqualificare le nostre città è essenziale, in ottica di contrasto alle emissioni di CO2, piantare qualche albero. Gli alberi proteggono gli edifici dalle escursioni termiche, consentono un risparmio energetico medio del 10%, assorbono grandi quantitativi di CO2 e forniscono riparo e protezione alla fauna urbana, favorendo la conservazione della biodiversità.
3. Stop al consumo del suolo
Perché costruire nuovi edifici se si possono riqualificare quelli che abbiamo già? Per ridurre o azzerare il consumo di suolo in città, la strategia su cui orientare le politiche di gestione del territorio a livello locale deve mirare alla valorizzazione del patrimonio edilizio pubblico e privato esistente. Il Parlamento ha recentemente approvato un disegno di legge che regolamenta e contiene il consumo del suolo.
4. Mobilità sì, ma dolce
Tante auto e mezzi in circolazione, significano più inquinamento atmosferico e acustico. E se ad alimentare quei motori sono soprattutto i combustibili fossili, la situazione non può che peggiorare. La ricetta della mobilità sostenibile in città è molto chiara e consiste di 4 semplici ingredienti di facile reperibilità:
• condivisione di mezzi e servizi (sharing mobility);
• potenziamento del trasporto pubblico;
• ampliamento delle piste ciclabili urbane e suburbane;
• blocchi e limitazioni alla circolazione dei veicoli più inquinanti.
Certo, la rivoluzione della mobilità urbana potrà dirsi compiuta solo quando le fonti energetiche saranno rinnovabili e pulite, ma nel frattempo si può percorrere la strada della sostenibilità
prendendo qualche scorciatoia, come il car sharing, o il modello francese basato sui “buoni mobilità”, finanziati con parte dei soldi incassati dal comune per le multe che sarà investito in rimborsi chilometrici destinati ai cittadini che si muovono a piedi o in bici anziché in auto.
5. Orti urbani? Sì, grazie.
A proposito di stress e gestione virtuosa del territorio, vi siete mai accorti di quanto sia rigenerante per la mente e per il corpo trascorre qualche ora nel verde? Ristabilire un contatto diretto con la terra nel bel mezzo del caos cittadino, non è forse il modo più efficace per evadere dalla routine quotidiana? Quella degli orti sociali è un’esperienza di successo già ampiamente sperimentata dalle politiche di eco-socialità aggregata di molte realtà urbane italiane. Il meccanismo funziona più o meno così: si prende un terreno incolto e abbandonato – dove a parte erbacce e immondizia non cresce un bel nulla – e lo si mette a disposizione della comunità perché venga coltivato. Così, quello che fino a un attimo prima era un luogo lasciato all’incuria e al degrado, diventa uno spazio di rigenerazione ambientale, sociale ed economica. L’agricoltura di comunità, infatti, ha un ruolo specifico nella conservazione del territorio e nella tutela della biodiversità urbana. Senza considerare che è un’occasione di inclusione sociale per gli anziani e per le categorie più deboli.
6. Riscaldare senza inquinare
Per ridurre l’inquinamento in città, non si può prescindere da una politica di regolamentazione, rigorosa e inflessibile sull’uso del riscaldamento negli edifici. Al bando i combustibili fossili, ad esclusione del metano, e via libera all’incentivazione di tecnologie che migliorano l’efficienza delle case. Fondamentale è il rispetto dell’obbligo di applicazione della contabilizzazione del calore nei condomini e della manutenzione delle caldaie, in un’ottica di riduzione sistematica ed effettiva dei consumi energetici e delle relative emissioni inquinanti. Teleriscaldamento, fotovoltaico, micro-eolico, solare termico sono alcune delle soluzioni che possono e devono trovare spazio nelle nostre città per ridisegnare il futuro dell’energia nazionale.
7. Raccolta differenziata e corretta gestione dei rifiuti
La raccolta differenziata è il primo, fondamentale passo, verso la gestione accorta dei rifiuti solidi urbani e la riduzione di sprechi, dei costi di smaltimento e dell’inquinamento ambientale. Plastica, carta, vetro e umido sono i materiali di uso quotidiano più comuni che possono e devono essere correttamente conferiti e smistati. Ma il senso civico e di responsabilità che lega ciascun cittadino al proprio territorio, a volte può non bastare.
8. L’acqua è preziosa
Potenziare il sistema di depurazione dei reflui e del contenimento delle perdite di acqua potabile dalla rete idrica, è la soluzione immediata. Guardando alla vita di tutti i giorni, è fondamentale incentivare il più possibile i cittadini al consumo dell’acqua di rubinetto. Non solo quella in bottiglia è meno sostenibile per l’ambiente, ma è anche più cara e non necessariamente più buona della “nostra”.
9. Co-working
È la soluzione perfetta per i liberi professionisti, freelance, lavoratori autonomi e startupper che non possono permettersi i costi di un ufficio. Ma è anche un luogo di incontro, condivisione, scambio e nuove opportunità. Si tratta, in sostanza, di spazi di lavoro condivisi e collaborativi dotati di tutto ciò che serve a livello professionale, compresi PC, stampanti, connessione internet e cancelleria.
10. Favorire l’interazione “social” tra cittadini e istituzioni
Basta un’app e uno smartphone per fare praticamente tutto. Ma se questi strumenti fossero utilizzati sistematicamente per migliorare il decoro e il rispetto delle regole nelle città? Forse la sostenibilità urbana, a quel punto, diventerebbe “virale”. I Social network, in particolare, dovrebbero diventare il luogo virtuale di incontro e confronto tra cittadini e PA, (noi inconsapevolmente a Lauria abbiamo già avuto qualche episodio virtuoso) ma anche gruppi di persone, associazioni e forze dell’ordine. Non è sufficiente “essere” sulla piattaforma, ma passare dalla presenza al dialogo: un passo indispensabile per promuovere una cittadinanza attiva e partecipata alla tutela dei beni comuni.
Aiutare la nostra comunità a riallacciare quel preziosissimo filo che lega l’uomo al suo ambiente e valorizzare l’identità degli spazi urbani, è ciò che sta a cuore a questa Amministrazione pubblica che vuole fortemente una progettualità volta allo sviluppo sostenibile, alla tutela della biodiversità e alla cultura del “vivere green”., perché il capitale più prezioso è da sempre quello umano.
LAURIA, vuole aggiungere una ulteriore “cosa che non dovrebbe mancare”:
11. Sharing Services o più propriamente Economia Collaborativa tramite APP è mettere in circolo non soltanto “BENI”, ma soprattutto servizi, saperi, competenze e tempo.
Connettere individui, organizzazioni e comunità – anche con scopi e interessi differenti – nel flusso unico e dinamico della rete. Esempi di economia collaborativa sono:
il mercato di ridistribuzione: è quello che si crea a partire da un bene usato da un precedente utilizzatore e ceduto a chi ne ha bisogno attraverso una catena di prestito continuo che viene promossa e gestita in remoto. E’ la regola delle 5 “r” (ridurre, ri-usare, riciclare, riparare e redistribuire) perché allungano il ciclo di vita di un prodotto e riducono gli sprechi;
Gli stili di vita collaborativi: (sharing economy) si tratta di una filosofia del vivere la proprietà di beni e servizi in senso circolare e comunitario a 360°. Comprende, infatti, la condivisione di risorse economiche, di competenze e anche di tempo. Scaricando la App si può trovare rapidamente il fornitore più economico e prenotare un servizio completo con pochi click.
I prodotti a noleggio: In questo caso si paga una quota prefissata per poter utilizzare un prodotto senza necessariamente doverlo comprare. E può trattarsi davvero di tutto: dal trapano elettrico a un vestito alla moda. Qualsiasi cosa può entrare nel grande cerchio del pay-per-use.
La cooperazione, dunque, è la fonte di ispirazione principale dei nuovi modelli di economia collaborativa, Un modello che crea ricchezza, la trattiene nei territori e la distribuisce tra i membri della comunità che l’hanno generata.